Tommaso Galassi: quando i genitori spingono i figli a inseguire il loro sogno - College Life Italia

Tommaso Galassi: quando i genitori spingono i figli a inseguire il loro sogno

Quando i genitori spingono i figli a inseguire il loro sogno americano, la storia di Tommaso.

Tommaso Galassi è il più giovane di tutti: al primo anno di liceo alla Hoosac School, nello stato di New York, ha già conquistato il coach, i professori e i compagni di scuola e di squadra. Ma a spingerlo a fare questa meravigliosa avventura sono stati i suoi genitori, sua mamma Monia e suo papà Devis.

Se cercate un posto tranquillo in mezzo ai boschi e alle cascate, lontano dal clamore, ma non troppo da New York City, dove potersi concentrare sullo studio e sullo sport, soprattutto il calcio, o meglio il soccer, Hoosick probabilmente è il posto che fa per voi. Un posto dove crescere con tutta la calma e la serenità che ci vuole nell’adolescenza. Settemila abitanti in una cittadina che prende il nome dall’omonimo fiume e che ha uno dei migliori licei della costa Est. 

Hoosac School, un istituto privato fondato nel 1889, ha una lunga tradizione in campo calcistico: come recita il sito ufficiale ha una lunga tradizione nel soccer ed è stata una delle prime scuole a portare questo sport nel New England (anche se si trova nello stato di New York) più di cinquant’anni fa. 

E’ qui che lo scorso settembre Monia e Devis Galassi hanno portato loro figlio Tommaso un ragazzo giovanissimo che ha iniziato il suo primo anno di liceo e la sua avventura di calciatore negli USA. Incontriamo Monia e Devis a casa loro, a Castelfidardo in provincia di Ancona.

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Monia, tu sei una mamma italiana in controtendenza, diciamo, hai spinto tu Tommaso, il tuo unico figlio, a seguire quest meravigliosa avventura, come hai fatto?
“In realtà io ho sempre viaggiato molto per lavoro, ho lavorato molto in diversi college in Inghilterra, e ho molto amici che vivono negli Stati Uniti, quindi con mio marito abbiamo sempre pensato che sarebbe stata una bella cosa per Tommaso andare a studiare all’estero. Poi cercando su internet mi sono imbattuta nel sito di College Life Italia e abbiamo chiamato. Ci siamo trovati di fronte persone estremamente serie e professionali che prima ci hanno invitato ad uno showcase a Milano dove abbiamo potuto vedere da vicino come funzionava, poi una volta capito che Tommaso per primo spingeva per andare addirittura prima del previsto, ci siamo affidati ai tutor di CLI ed è iniziata l’avventura. I tutor, e Sara (Ballarini, per cui nutro una stima profondissima e per me è da 100 e lode!) sono stati eccezionali, ci hanno seguito fin dall’inizio in maniera attenta e meticolosa, risolvendo ogni problema, le richieste dei dcumenti, il visto etc. E cosi il 7 settembre del 2023 abbiamo accompagnato Tommaso a Hoosick”.

Qual è stata la maggiore difficoltà?
”Be’, devo dirti che anche se io e mio marito eravamo preparati mentalmente, poi lasciarlo andare a 14 anni è un po’ come amputarsi una parte di sé, poi Tommaso è comunque piccolo e quindi c’è una preoccupazione maggiore. Però io penso che il lavoro dei genitori sia quello di pensare ai figli e noi abbiamo pensato a lui e al suo futuro, mettendo da parte le nostre preoccupazioni. Siamo stati anche molto criticati per questa scelta ma noi siamo felici così perché – ripeto – abbiamo pensato soprattutto a nostro figlio. Tommaso qui in Italia era insofferente a scuola, sono sicura che l’avrebbe lasciata se fosse rimasto qui, ma non perché non fosse bravo ma perché qui non viene mai premiato il merito e un ragazzino come lui, non sopportava bene questa cosa”.

Quindi voi consigliereste questa esperienza a genitori che magari sono titubanti nel lasciare andare i loro figli dall’altra parte del mondo a studiare a fare sport?

“Un milione di volte! E consiglieremmo anche College Life Italia che ci ha seguito in maniera fantastica. Anche dopo che Tommaso è partito la presenza dei tutor di CLI è sempre stata costante, anche adesso che Tommaso si è perfettamente inserito, loro ci sono sempre, ci sentiamo sempre tutelati e protetti”.

Come si trova Tommaso?
“Benissimo, si è inserito perfettamente, e in questi pochi mesi è già cresciuto moltissimo, ha tirato fuori il carattere, è partito che era un bambino quasi, e adesso quando lo sento mi sembra di parlare con un uomo. A scuola gli hanno fatto già fare delle lezioni in vista dell’università, come la finanza amministrativa, e gli hanno anche chiesto se vuole allenare una squadra di bambini. Insomma, è entusiasta di questa esperienza. Certo, ci ha anche confessato, dopo, che il primo mese si è sentito un po’ sperduto, poi si è ammalato ma tutti lo hanno accudito come se fosse un figlio loro. Tra l’altro Tommaso ha delle gravi allergie alimentari quindi deve mangiare in maniera molto accurata e tutti alla mensa, dagli operatori, al coach ai compagni di scuola, collaborano affinché non rischi nulla. Adesso, insomma, non torna più a casa (ride), viene per le vacanze”.

C’è qualche punto negativo, o meglio, non del tutto positivo?
“Se devo dirtene uno, il fatto che la scuola dovrebbe organizzare più attività esterne per questi ragazzi. Però di tutta questa esperienza, le cose positive sono molto di più di quelle negative”.

E cosa ne dice Tommaso di questa esperienza a Hoosac?
Abbiamo sentito anche lui, ma al telefono…

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Come ti è venuto in mente di andartene negli Stati Uniti a 14 anni, a studiare e a giocare a calcio?
“Eh, in realtà ci ha pensato mamma a cercare che possibilità c’erano e ha trovato CLI così siamo andati a Milano per uno showcase e devo dirti che all’inizio io ero un po’ scettico, giocavo a calcio nella squadra della mia città (il Castelfidardo), avevo i miei amici. Poi ho visto le scuole disponibili negli USA, ho visto come era organizzato tutto e ho deciso di partire, addirittura un anno prima del previsto”.

Quali sono le differenza che hai riscontrato tra il calcio italiano e quello americano”
“Sicuramente l’agonismo che c’è qua, e in generale il fatto che tutti in campo danno il massimo per il bene della squadra, dal coach a chi sta in campo, a chi siede in panchina. Qui il concetto di squadra è fondamentale”.

E in Italia non c’è?
“Sì c’è anche da noi ma è meno potente”.

Qual è la soddisfazione più grande che hai vissuto finora?
“La prima volta che sono sceso in campo, io sono arrivato un po’ in ritardo rispetto ai miei compagni che hanno iniziato ad agosto, io invece sono arrivato a settembre, però la prima partita che ho fatto sono partito dalla panchina e quando sono entrato in campo ho
rischiato addirittura di segnare e il pubblico ha cominciato a fare dei cori con il mio nome e devo dire che è stata una bella emozione”.

E la difficoltà più grande che hai incontrato?
“All’inizio è stato un po’ difficile, anche le materie a scuola erano ovviamente tutte in inglese e un po’ di fatica l’ho fatta, però qui le classi sono piccole per cui i professori riescono a seguirti meglio, se c’è qualcosa che non capisci bene loro te la rispiegano perché hanno il tempo di farlo e tu puoi recuperare subito”.

Chi sono i tuoi compagni di squadra e di scuola?
“Ci sono cinque italiani, poi molti brasiliani, serbi, spagnoli, e questo è molto bello perché conosci altre culture, altre lingue altri modi di pensare. Alla fine siamo tutti amici, ci vogliamo bene”

Come è diversa la scuola?

“Ci fanno fare anche cose in vista dell’università. A me per esempio mi hanno fatto fare un corso di Financial Accounting che in genere si studia al college. All’inizio è stata tosta poi però mi sono impegnato e alla fine sono riuscito a prendere anche un bel voto”.

Come è strutturata la tua giornata?
“Sveglia alle 7 e dress code, ni dobbiamo metterci giacca e cravatta per andare a lezione, e questa è la parte forse più difficile per me. Poi si va a fare colazione e dalle 8 alle 8.30 andiamo in chiesa (la Hoosac è una scuola cattolica fondata come chiesa episcopale, ndr). Alle 8.30 iniziano le lezioni fino alle 12.05 poi abbiamo un’ora per il pranzo che è diviso in due turni: alcuni mangiano e altri fanno servizi come mettere in ordine, e viceversa. Poi ci alleniamo e alle 5 abbiamo la cena. Tra le 7 e le 9 c’è la cosiddetta study hall, ovvero si fanno i compiti tutti insieme, e poi in pratica si va a dormire perché la mattina successiva ricomincia tutto”.

E nel weekend?
“In genere andiamo nel centro commerciale che c’è qui oppure abbiamo le partite, o facciamo delle piccole uscite”.

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Posti che hai visto in questi mesi?
“Be’ New York City è a tre ore di auto, quindi ci si va spesso”.

Nostalgia di casa?
“Qualche volta, ma sono in continuo contatto con i miei amici e già stiamo programmando tutte le cose che faremo quando torno in Italia”.

Cosa pensi di fare nel prossimo futuro?
“L’idea è quella di finire il liceo qui e di fare anche l’università qui negli USA, poi vedremo. Stiamo già valutando delle ipotesi magari per cambiare qualcosa rimanendo sempre qui però”.

Cosa diresti ai ragazzi italiani che vorrebbero fare la tua stessa esperienza ma sono ancora indecisi?
“Di essere costanti, di allenarsi con convinzione in palestra e in campo per migliorare, dando sempre il massimo, e di crederci sempre fino alla fine”.

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