La storia di Mattia Ditommaso è quella di un ragazzo come tanti altri, ma al tempo stesso diverso dagli altri. Classe ’97, da agosto vive in North Carolina, USA, dove frequenta la Wingate University studiando Sport e management e, parallelamente, giocando a calcio. Un ragazzo pieno di voglia di vivere, una voglia che sprigiona da tutti i pori nel raccontarci la sua personale esperienza, e animato da una sana energia: l’ambizione. Troppo spesso scambiata (probabilmente da chi non ce l’ha) per un difetto, l’ambizione è quella voglia che spinge Mattia verso un costante processo di messa in discussione di se stesso, distruggere e ricostruire, per diventare un essere umano e un futuro professionista, qualunque sarà la strada che deciderà di percorrere, migliore. Basta pensare che improvvisamente, da un momento all’altro nella sua giovane carriera calcistica, da portiere Mattia si è trasformato in centrocampista, per poi specializzarsi maggiormente come trequartista nell’esperienza americana. Un chiaro esempio di come sembra essere, al termine di un’amichevole chiacchierata, Mattia: un ragazzo che non vuole (e non deve) porsi limiti di alcuna sorta. Tutto questa forza e coraggio nascoste poi al di sotto di una scorza di entusiasmo, di vitalità e spirito di avventura da cui bisognerebbe trarre esempio. Ragazzo di Varese, dopo aver fatto buona parte del settore giovanile “in patria”, Mattia è andato a fare una bella esperienza calcistica nell’FC Mendrisio, club svizzero per quattro anni.
Poi un giorno…
“Parlando con un mio amico all’università, dove studiavo scienze motorie, venne fuori questa opportunità di College Life Italia. L’opportunità di partecipare a uno showcase, dell’eventualità di venir scelto per partire. A istinto, e mi fido molto del mio istinto, verso maggio ho deciso di andare a provare. Sono andato a fare lo showcase a Milano. Ma non con l’intento di partire, ci sono andato senza pensieri, senza sapere a cosa andavo incontro. Mi ricordo che sono andato lì, Stefano, Lucas, Paolo ci hanno spiegato il loro progetto e, a dire la verità, mi hanno fatto da subito una bella impressione. Il secondo giorno sono tornato e, a metà del primo tempo della partita mattutina, mi hanno detto: Il coach ti vuole parlare. Sono andato da lui: mi ha guardato e mi ha chiesto se volessi partire subito. Io sono rimasto spiazzato, non me l’aspettavo proprio. Mi ricordo di aver risposto Sì, perché no? Non so perché ma pensavo che non facesse sul serio. Poi però a fine partita mi dicono che mi volevano veramente. Io non sapevo nulla allora, giuro, assolutamente nulla, non avevo detto niente ai miei. Ma a istinto ho deciso di andare, ho detto di sì. Ora, un anno, sono veramente contento di aver preso quella decisione istintiva, mi sento molto fortunato. Quest’avventura è iniziata così, una pura casualità.”
Devi essere un ragazzo di carattere. Tu come ti descriveresti?
“Penso di essere un tipo particolare. Sono un ragazzo molto disponibile, amo stare insieme ai miei compagni, ai miei amici. Ma un pilastro su cui non transigo è la fiducia. Il mio difetto è che non riesco a perdonare che mi fa un torto… o almeno, ci riesco, ma il rapporto non sarebbe più come prima. Penso sia un aspetto su cui devo lavorare (ride, ndr). Per il resto mi sento un ragazzo come gli altri: amo uscire con gli amici e ovviamente amo il calcio. Quando non gioco, a volte, mi piace leggere di calcio, specialmente le storie e le vite dei grandi, come Ibra, che per me è sempre stato un modello da seguire per la sua perseveranza e forza d’animo.”
Ti senti cambiato dentro dopo questo primo anno in America?
“Le persone dicono che quando vai all’estero cambi. Prima mi sembrava un po’ una frase fatta. Ora dico che, nonostante io sia qui solo da un anno, già mi sento profondamente cambiato. In particolare sotto il profilo di come guardo le cose che mi circondano. Riesco a comprendere, a differenza di prima, diversi punti di vista. Andare all’estero è un’esperienza che apre la mente: è proprio vero.”
Sicuramente ti sarai imbattuto in alcuni ostacoli al tuo arrivo.
“Mi ricordo che quando sono arrivato mi sono scontrato con gli allenamenti, completamente diversi dai nostri. Come anche la mentalità degli atleti: tutta un’altra cosa. Ho fatto un po’ di fatica all’inizio. Mi ricordo che una volta avevamo giocato di sabato e la domenica c’era allenamento. Ero convinto che con novanta minuti pieni sulle spalle avrei fatto lavoro a parte, una cosa tranquilla; invece ricordo che facemmo un allenamento normalissimo. E mentre arrancavo, ad un certo punto, vedevo i miei compagni che andavano a tremila. Rimasi stupito di questo, ma con il tempo capii che era solo una questione di abitudine, di testa. Ora il mio recupero magari è andare in palestra, lavorare sul muscolo. E devo dire che sono cresciuto tantissimo dal punto di vista fisico da quando sto qui: sto molto meglio. Qui in America facciamo un calcio forse meno qualitativo ma più intenso. Comunque mi hanno stupito gli altri calciatori con cui gioco: c’è una qualità nei singoli che non mi aspettavo di trovare al mio arrivo.”
Com’è la vita al college?
“Una vita molto diversa da quella a cui uno è abituato frequentando una normale università in Italia. C’è un campus con vari appartamenti, con la mensa, la palestra: è una piccola cittadina per gli studenti. Qui in America hanno delle strutture inimmaginabili. Anche il rapporto con i professori è incredibilmente diverso. Qui gli insegnanti si mettono al tuo livello, ti danno fiducia. Si crea un rapporto tale che non ti verrebbe mai in mente di fargli un torto, di copiare o cose simili. La disponibilità ad aiutarti è la cosa che amo di più: sia da parte dei docenti che degli altri ragazzi: ti fanno inserire subito.”
E la vita americana? Com’è?
“Quel che mi piace di più è che la domenica gli americani vogliono sempre fare qualcosa con la famiglia. C’è un grande legame, non esiste che il weekend non si sta insieme. Con i miei amici facciamo spesso il barbecue, ci si diverte. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più per diversità rispetto a noi è che qui mangiano sempre (ride, ndr). Alle otto di mattina vedi gente intenta a mangiare frittata. Amano poi fare i party, che sono tuttavia meno estremi dei nostri. Non si arriva a fare dei danni e al termine della festa si pulisce sempre tutto, c’è molto rispetto, un gran senso della responsabilità.”
Un aneddoto divertente della tua vita da italiano in America?
“Spesso il coach ci porta in un ristorante italiano, mi dice: ti senti a casa? E lì sono in imbarazzo perché quel tipo di cibo non c’entra niente con noi (ride, ndr). Un mio compagno poi mette il ketchup sulla pizza… ma questo è un classico.”
Con la lingua come va? Ti capita già di pensare o sognare in inglese?
“Sto imparando sul campo, devo ancora migliorare molto, allargare il mio vocabolario. Già dopo due settimane ho fatto un sogno in inglese: mi ha sorpreso molto. Una cosa che è cambiato molto in me è la visione dei film. Subito, da quando sono arrivato, ho iniziato a vedere i film in lingua originale, mi ha aiutato moltissimo. Ora non riesco proprio più a sentire i doppiaggi in italiano, sembrano finti. Penso che d’ora in poi vedrò i film solo in lingua originale. Non penso ancora completamente, invece, in inglese, però a volte può succedere. Magari sto sistemando delle magliette e può capitarmi di contarle in inglese. Quando succede mi fermo un attimo e dico e me stesso: che cavolo sto facendo? (ride, ndr). Altre volte magari parlo in italiano e mi scappa qualche parola in inglese. (Confermiamo: anche durante questa intervista sono usciti un paio di Oh, my God, ndr). Penso sia un processo naturale, ora l’inglese fa parte di me. La vedo come una seconda cultura, sto diventando un mix di culture. Mi sembra una cosa bellissima.”
Come vedi il tuo futuro?
“Una bella domanda. Onestamente non lo so, ma non mi dispiacerebbe rimanere qui, anche se non è facile. Quando qua finisci il percorso di studi è dura, devi trovarti subito un lavoro. Vedremo. So solo che gli anni passeranno in fretta. Già questo primo è volato: mi sembra di essere arrivato qui l’altro giorno. Ho tanti punti di domanda, ma sono certo che al momento giusto riuscirò a prendere la decisione più adeguata per me.”
Cosa ne pensi di College Life Italia?
“Devo essere sincero: ci sono tante associazioni che offrono questo tipo di servizi e opportunità, ma istintivamente ho voluto scegliere proprio questa. Sono molto contento della mia decisione: fin da subito mi hanno colpito, perché ho percepito la sincerità e la passione che mettono in quello che fanno. Posso dire che mi hanno cambiato la vita. Gli devo tanto.”
Cosa consiglieresti a dei ragazzi attratti da questo tipo di esperienze ma indecisi e insicuri?
“Dico loro una cosa molto semplice: se non rischi sei uguale alla massa. La mia vita è incerta, strana, ma è un continuo rischiare, un continuo osare. Secondo me bisogna avere voglia di mettersi in gioco, sempre. Io ho bisogno di essere il migliore nel mio ramo, di sentirmi tale: sono un ambizioso. Ai ragazzi dico: vuoi farlo? Prova. Non hai niente da perdere. Se non ti piace puoi sempre tornare a casa. Ai ragazzi che parteciperanno agli showcase dico: gioca semplice, come hai sempre fatto. Fai gruppo, non fare il fenomeno. Quello è l’errore più grande che una persona possa fare a livello calcistico.”
Mattia Ditommaso, vent’anni.