Il difensore classe 2003 racconta il suo primo anno negli States dove studia alla New Jersey Institute for Technology e gioca a calcio
Sullo sfondo lo skyline di Manhattan, di fronte il New Jersey Institute for Technology dove un anno fa si è trasferito Andrea Campoli che oggi guarda quel profilo sfavillante con grandi speranze per il suo futuro. Classe 2003, Andrea ha girato diverse squadre prima di prendere la decisione di trasferirsi negli USA grazie a College Life Italia. Da Frosinone ad Ascoli, dalla Lazio alla Viterbese, Campoli non ha alcun rimpianto per la scelta fatta. Centrale di difesa, è stato eletto insieme alla sua squadra “Freshman Team of the Year”.“E’ stato un anno fantastico – dice subito Andrea – e sono felicissimo della mia scelta”.
Come hai conosciuto College Life Italia?
“Uno dei componenti dello staff del Frosinone, conosceva College Life e me ne parlò. Così decisi di presentarmi a uno showcase organizzato da loro. Quando poi mi sono trovato di fronte al bivio se diventare un calciatore professionista o se continuare gli studi, ho ricontattato College Life e ho deciso di partire. Oggi sono contentissimo della mia scelta”.
Non ti sei pentito di aver lasciato il calcio italiano dopo aver giocato nelle giovanili di tante squadre nel momento in cui potevi fare il grande salto nel professionismo?
“No assolutamente, per me il calcio è passione ma è sempre stato il mezzo e non l’obiettivo da perseguire. Anche la mia famiglia, che mi ha sempre appoggiato nelle mie scelte – è stata contenta di questa opportunità.
Come sta andando la tua esperienza americana?
“Molto bene, va anzi sempre meglio perché dopo un primo periodo di assestamento, in un paese nuovo e con una lingua che non è ancora la tua, in cui puoi avere qualche problema, dopo capisci che è una realtà fantastica. Conosci culture e persone diverse, entri a contatto con tante esperienze e cose diverse e capisci che il mondo – con tutte le sue diversità – esiste e sta là, la realtà vera è quella. Ti si apre la mente, impari moltissime cose e quando esci dalla tua comfort zone e ti butti in quella realtà è davvero fantastico”.
A che livello è il calcio maschile negli Stati Uniti adesso?
“C’è un grande movimento in continua crescita che tenta di imitare il modello femminile, da anni ai vertici mondiali (su otto edizioni disputate ne hanno vinte quattro – 1991, 1999, 2015, 2019 – e puntano a confermarsi anche quest’anno, nda). Tutti i ragazzi, soprattutto quelli più piccoli, ormai giocano dappertutto, non solo nelle scuole ma anche per strada come succedeva da noi in passato. Hanno delle strutture impressionanti che noi in Italia ci sogniamo: nemmeno le squadre di serie A hanno le strutture che ci sono qui e considera che io sono in una piccola università. C’è uno sviluppo incredibile per cui ai prossimi mondiali del 2026, che si svolgeranno tra Canada, Messico e Stati Uniti, ci sarà una squadra statunitense fortissima”.
Cosa stai studiando Andrea, e come ti vedi nel futuro: cosa vorresti fare?
“Io ho appena finito il primo anno qui al New Jersey Institute for technology, che è un anno di preparazione, comune a tutti poi si decide quale corso seguire per la laurea. Ho fatto un corso di business administration però vorrei restare in ambito relazioni umane”.
Come ti vedi una volta conseguita la laurea?
“Mi vedo là negli Stati Uniti dove voglio restare a vivere, come major (la laurea specifica) credo che mi orienterò sulla cyber psychology (la scienza che studia il modo in cui le persone interagiscono attraverso i dispositivi elettronici e gli effetti che hanno sul cervello nda), una cosa che mi interessa molto, mi interessa capire come funzionano le relazioni tra le aziende e le persone”.
Com’è la tua università?
“E’ piccolina, non è una da 65.000 studenti ma si sta benissimo, c’è tutto. E’ un politecnico che sta a Newark, in New Jersey, proprio di fronte a New York, a Manhattan con cui è collegata benissimo. E’ un’università nuova, moderna dove ci sono strutture fantastiche. Ci sono due piscine olimpioniche bellissime, il campo per l’atletica leggera, il campo di calcio con l’erba sintetica, palestre, strutture che ti dicevo prima, in Italia non hanno nemmeno le società di Serie A”.
Hai girato un po’ per l’America in questo primo anno di permanenza lì?
“Sì un po’ con la squadra perché abbiamo viaggiato molto, quando andavamo in trasferta riuscivamo a vedere un po’ di città, tipo Boston, Filadelfia, l’anno prossimo andremo anche a Chicago. Per lo spring-break invece sono andato in California. La scusa – diciamo – è stato un provino che dovevo fare con una squadra di semi-professionisti poi mi sono fermato li per qualche giorno e ho girato un po’. Sono stato a San Francisco dove era stata anche mia mamma quando aveva vent’anni e me ne aveva parlato tanto e devo dire che è una città meravigliosa. E poi c’è New York dove vado in genere tre volte a settimana anche se non devo fare niente in particolare, mi basta camminare per quelle strade, vedere la city life e mi sento felice”.
Com’è vivere in un college americano?
“Fantastico! Conosci persone che vengono da ogni parte del mondo, conosci culture diverse, abitudini differenti. Nel college c’è uno spirito scolastico molto bello, siamo tutti molto legati, ci sono tante attività da fare. Certo se abiti fuori dal campus magari puoi vivere un po’ di più la città ma io sono contento di vivere nel campus”.
Sei entrato anche in una fraternity (i gruppi di studenti che si identificano per interessi, nda)?
“No no, niente fraternity”.
C’è qualcosa che ti manca dell’Italia e di Roma?
“Mi manca casa, mi manca la famiglia, io sono molto nostalgico e molto romantico però dopo l’inizio un po’ duro, adesso riesco a gestire molto bene le chiamate con casa e con gli amici. Diciamo che ‘mi faccio mancare’, faccio in modo che siano gli altri a sentire la mia mancanza. Penso sempre che sono nato nel posto perfetto e che sto vivendo il mio tempo migliore nel posto perfetto in questo momento”.
Cosa ti piace di più di questa esperienza?
“Il fatto di capire che c’è altro, che il mondo funziona grazie alla multiculturalità, che attraverso queste nuove conoscenze capisci quanto uno può darti e quanto tu puoi dare a loro. Conosci persone e storie che ti arricchiscono continuamente. C’è un sistema scolastico che funziona molto bene e se sei un po’ intraprendente riesci a parlare subito anche con i CEO di varie aziende”.
Come hanno reagito i tuoi genitori a questa tua decisione di partire per gli USA?
“La mia famiglia mi ha sempre supportato in tutte le scelte che ho fatto. Io sono uscito di casa a 14 anni per andare a giocare a calcio prima nel Frosinone e poi nell’Ascoli, ho giocato anche a Viterbo e loro mi hanno sempre dato carta bianca, dicendomi vai e fai quello che senti, sono la colonna portante della mia vita”.
Sei figlio unico?
“No, ho un fratello più grande e uno più piccolo che sta alle medie”.
Che traguardi hai raggiunto con la tua squadra quest’anno?
“Siamo arrivati ai play-off della nostra Conference ma siamo una squadra molto giovane e siamo stati eliminati in semifinale. Però abbiamo una base molto solida e l’anno prossimo puntiamo a migliorarci”.
Quanto è migliorato il livello del tuo inglese?
“Sono partito da un B2 e adesso mi sento un’altra testa, sono completamente immerso nella lingua e nello slang americano, ed è bellissimo”.
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